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Coppa dell’amicizia/Friendship bowl

Test di cultura italiana. Riconoscete questo oggetto?

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Viene dalla Valdaosta: si chiama coppa dell’amicizia, ed è una coppa panciuta di legno con un coperchio circondato da un numero pari di becchi che va da due a una dozzina. Si riempie la coppa di un caffè particolare, tipo quello della Peppina, e si beve in compagnia, a turno, ciascuno da un becco, passando la coppa in giro. Un modo bellissimo di condividere un caffè alla fine di un pasto, nelle notti invernali, con gli amici davanti al camino, a raccontarsi storie. A casa, in Italia, ne abbiamo una, nascosta in una credenza, proveniente da chissà quale viaggio che mia mamma ha fatto da ragazza.

Io e la Nico abbiamo salvato questa coppa dell’amicizia dalle incurie dei suoi precedenti padroni, e ora è l’oggetto più prezioso e bello nel mio appartamento. La prima volta che l’ho vista, eravamo al Chai Ovna, una casa del té dall’aspetto molto informale, diciamo pure trascurato, hippie o indie a seconda dei punti di vista, e tutto contento per aver trovato un oggetto così raro in un angolo di Glasgow, sono andato a chiedere alla cameriera da dove venisse. Lei, con espressione tra il fastidio e il disinteresse universale: “Come hai detto?” “La coppa dell’amicizia, quella cosa rotonda di legno…oh, lascia stare”. Cioè, hanno un oggetto d’artigianato e neppure si preoccupano di sapere cos’è. Sono tornato al Chai Ovna a Settembre con Sara, ma la coppa era scomparsa. No, ma come, l’hanno buttata via? Ah, no. L’ho scovata su uno scaffale polveroso, coperta di ragnatele. Sara mi ha consigliato di infilarmela in borsa e portarla via di nascosto, tanto non interessava a nessuno. Io invece, la volta successiva che sono tornato, ho pregato la cameriera di chiedere alla padrona se avesse intenzione di vendermela. Settimane dopo, finalmente mi arriva un messaggio di conferma. Nicoletta è andata a recuperarla per me e me ne ha fatto regalo. Ho dovuto pulirla dalla polvere e dagli schizzi di pittura, ho cosparso il fondo di fondi di caffè per togliere gli odori cattivi, ed ora fa bella figura in cucina, con i suoi decori a stella alpina e il profumo intenso di legno.

L’abbiamo collaudata per la prima volta io e Nick. Non ho preparato il caffè valdostano ma qualcosa di simile, ma non ho considerato che se è troppo piena, il caffé esce da un po’ tutti i becchi quando la si inclina. Ne ha fatto le spese il mio pigiama.

Ricetta del caffè per fare un “buon café à la valdôtaine”(presa dalle istruzioni, custodite all’interno della coppa stessa):

Preparare il caffè in quantità sufficiente secondo le necessita e versarlo nella coppa dell’amicizia; aggiungere due cucchiai di zucchero per ogni caffè; scorze di limone o arancio; mezzo bicchierino di grappa molto forte (o altro liquore secondo i gusti); cospargere il bordo dell’apertura della coppa dell’amicizia con zucchero e bagnarlo con la grappa. Dare fuoco al liquido all’interno della coppa e mescolare con un cucchiaio; spegnere la fiamma chiudendo con il coperchio.

Aggiunte della mia credenza:
Liquore all’amaretto
Acqua di fiori d’arancio

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This is a test to check your knowledge of authentic Italy. What is the item in the picture?

friendship bowl.jpgIt’s not a fancy ashtray. It is a friendship bowl, it is common in the tiniest Italian region, Aosta Valley, on the North-West corner, on the mountains. It is a wooden round bowl with a lid and several beaks. You fill it with a special coffee cocktail and drink from it, in turn, one beak each, with your friends, sharing stories in front of the fire on a winter night. My mum has one at home, a relic from her travels when she was younger.

I first came across this item in Chai Ovna, which is a shabby (or, if you prefer, alternative) tea house in the West End. It was perched on a mantelpiece. I was filled with amazement and went to the waitress, all excited, to ask where they got it from. She didn’t even know what I was talking about. Some time later, I was having a tea with Sara and I couldn’t find it anywhere. I found it out on a windowsill, stranded and forgotten, wrapped in spider cobs. Such a shame! Sara told me to slip it into my bag and leave. Instead, I went to the waitress and asked to purchase it from them. I left them my phone number. After many weeks, I received a text: deal, the bowl was mine! Nicoletta went to pick it up and bought it for me. I cleaned it up from dust and splashes of wall paint. I spread the bottom with coffee grounds to make it smell properly. Now it shines in my kitchen, wooden-smelling, edelweiss-carved, probably the most beautiful, precious item in my flat.

I first tried it with Nick, but I didn’t realize that you need to tilt it carefully when it is full, or you will spill the coffee all over your pyjamas, like I did. Here is the recipe of the traditional Aosta valley coffee, although I made my own version.

Recipe to prepare a good valdostan coffee (as found in the instructions inside the bowl itself):

Make a sufficient quantity of coffee (espresso) and pour into the friendship bowl. Add two teaspoons of sugar for every cup of coffee, as well as lemon or orange rind. Add half a glass of very strong grappa (or another liquor you prefer). Sprinkle sugar on the rim of the bowl and wet it with grappa. Light the drink on fire and stir it with a spoon. Cover the bowl with its lid to put the fire off.

A qualcuno piace dolce/Some like it sweet

Non ero particolarmente entusiasta di sottopormi allo sregolato regime alimentare americano. Temevo di non entrare nei miei pantaloni al mio rientro a Glasgow. Alla fine mi sono arreso, le misere condizioni della cucina nello studentato non mi invogliavano a mettermi ai fornelli, né avevo troppo tempo da investire nella preparazione di cene e pranzi sani, e mi sono adattato allo stile di vita locale. Benvenuti cibi congelati, panini, zuppe in scatola, e soprattutto benvenute gastronomie, ristoranti e mense.

amerikanerA New York si trova da mangiare ovunque e per tutti i gusti e tasche. New York raccoglie numerose tradizioni culinarie, le adatta al gusto locale senza snaturarle troppo. Un esempio: la pizza è molto gustosa, a quanto pare è la più buona che si trovi in America. A me piace quella di Two boots, dove i due stivali del nome sono l’Italia e la Lousiana. In America le porzioni sono enormi, avete presente quando da Starbucks si può scegliere tra tall, grande o venti–opzione small, non pervenuta? A New York comunque si cerca di mangiare in modo equilibrato e ci sono pochi obesi, forse perché si cammina tanto. Si mangia molta frutta e verdura, la si trova anche sulle bancarelle sul marciapiede oppure nei mercati all’aperto nelle piazze, venduta da coltivatori locali. Dopo numerose prove, ho scoperto che il negozio col migliore rapporto convenienza/qualità è Trader Joe’s, dove si trovano prodotti biologici (e si spera sani) ma non di marca.

marshmallows barsIn America si esagera con il sale e lo zucchero. Lo sciroppo di glucosio è una sorta di droga legale e supportata dalle potenti lobby dei coltivatori di mais. La stessa Michelle Obama ha gradualmente rinunciato a promuovere una dieta sana e si è spostata piuttosto in direzione di maggiore attività fisica. E quindi via, vi presento una carrellata di snack americani. Le pop tarts sono mollicce, senza consistenza, non si capisce dove siano le fragole, e hanno un retrogusto salato. Ho trovato Oreo con mille gusti diversi, dalla menta al limone al burro di arachidi. Ho provato la gelatina alla menta e quella all’uva, tipiche della tradizione americana. Negli USA hanno un’inspiegabile predilezione per i marshmallows: ho provato orribili e insapori cakes ai marshmallows, il marshmallow spalmabile che costa meno della marmellata, quelli ricoperti di cioccolata, le marshmallow bars che sono barrette mollicce di riso soffiato con marshmallows fuso.

pop tartsSe siete alla ricerca di torte, date retta a me, non andate dal Boss delle torte se non per una foto. I dolci lì sembrano finti e sono costosi. Andate piuttosto da Sarabeth per dolci da forno, oppure da Betty bakery per il cheesecake e le cupcakes più sfiziose, oppure da One girl cookies per i woopies e una fetta di red velvet cake. Ho scoperto che ci sono due tipi di donuts, yeast (aereo, spumoso e leggero) o cake (un po’ più simile ai fritti italiani, sostanziosi e corposi). Verdetto generale: i dolci americani sanno troppo da zucchero, che detto da un golosone come me è grave, e hanno una consistenza molle, fiacca, in generale sbagliata!

zebra cakesPer quanto riguarda il cibo salato, adoro il corn bread, che è una specie di muffin di polenta, dolcissimo e dorato, da accompagnare alla carne. Ho provato il puré di patate dolci ed era divino. La zuppa Campbell è molto cremosa, salatissima e credo fatta con ingredienti di vaga qualità.

Dopo tutte queste calorie ingerite, incredibilmente nei pantaloni ci sto ancora, ma le mie magliette onestamente tirano sull’ombelico.

il boss delle torte

Carlo, proprio non ci siamo.

I was not looking forward to guineapig the American diet. I feared I wouldn’t fit my trousers anymore after two months. But let’s face it: the city life doesn’t leave any spare time nor energy nor inspiration to cook fancy meals twice a day. I converted quite soon to the american eating style. Welcome frozen food, welcome sandwiches, ready food, canned soups, and then canteens, cafeterias and delis. And welcome some new food to try.

marshmallowscampbell soupNew York offers a whole range of cuisine and food, for every taste, every wallet, anytime. And it is not necessarily bad. For instance, pizza here is the best of America and even if it does not taste like home, it’s good. I recommend the Two boots, where the boots of the name are Italy and Luisiana. Have you ever noticed the XL size of American portions? Like, when the drink cup sizes start at tall. Eh? Where is the small? Actually people look quite healthy and obese are rare, people keep walking and eat fruit and vegetables, that can be found even on stalls on the streets or in farm markets in the weekends. After much exploring I can state Trader Joe’s is the best groceries shop, a good balance between quality and low prices through self-labelled products.

mint jellyEverything is tasty, salty or sugary. Corn syrup is like a powerful, legal drug present everywhere and sponsored by the corn lobbies. Even Michelle Obama was forced to shift from ‘let’s eat better and drink water’ to ‘let’s do physical activity!’. I tries several snacks but I was quite disappointes, in general they are oversugary and their texture is wrong, they like it chewy or soft or spongy or fluffy or lolly. If you fancy a dessert, listen to me, don’t waste your money at Carlo’s, the cake boss. His cakes are fake and costy. You’d rather go to Sarabeth’s for bakery, Betty bakery for cheesecakes and pies, One Girl cookies for woopies, and Melt for ice cream sandwich.

If you prefer savory meals, I can recommend trying the corn bread, which tastes so sweet and goes with meat, mashed sweet potatoes. I tried the famous Campbell soup but I was disappointed.

After some weeks of a new diet, my trousers still fit me, but my t-shirts are slightly stretched over my belly button.

oreo

Fancy Oreo biscuits.

Pizzoccheri a Pasqua

Pasqua a Glasgow sembra essere un giorno ordinario. Cammino per le strade e vedo che la vita procede come al solito, le scozzesi si fanno ristrutturare la faccia dall’estetista, la gente fa spesa e intasa il centro approfittando del weekend lungo. Alcuni dottorandi vanno all’università, certi di essere finalmente soli in ufficio.

IMG_2000Per me invece Pasqua è un giorno speciale, ancor più speciale di Natale, non è sepolta sotto millenni di tradizioni accessorie. È speciale anche per le poche persone che si sono radunate di notte in chiesa per accendere una luce e scambiarsi sorrisi e pace.

Diventa speciale quando il sole radioso guarnisce il tutto come la ciliegina sulla torta, e quando si condivide questo sole con altre persone. Sono stato ospitato a pranzo da alcune ragazze in Erasmus (sostengo sempre che gli Erasmus hanno una marcia in più). Abbiamo preparato un pranzo semplice ma-ai nostri palati affamati-di lusso con pizzoccheri, lasagne, tortilla e panna cotta. Ci siamo divertiti sugli scivoli di Glasgow Green come bambini ululando di gioia.

IMG_2004Pasqua è ancora più speciale per me, che ho ricevuto in regalo un radioso uovo di cioccolata, un regalo generoso e inaspettato, una sorpresa, che mi ha reso felice come un’aragosta. Buona Pasqua.

glasgow green easter day

Photo credits: Maria Gallo x

Apparently Easter day is an ordinary day in Glasgow. Walking in the street I see people have their shopping and cram the city center, taking advantage of this long weekend. Glaswegian women go for their Cleopatra mask, PhD student sneak to the office, probably enjoying they are all alone and quiet.

Easter is a special day, even more special than Christmas to me. It is not burdened with millennia of trivial traditions. It is special for the few people than gathered at night in the church to light up a candle and give each other smiles and signs of peace.

easter egg maria

It becomes a special day when the beaming sun makes everything perfect like icing on the cake, and when you share this sun with people. I was invited by Maria to spend the Easter lunch with her and her Erasmus friends (I keep thinking that Erasmus people have an extra oomph). We shared a simple but so tasty meal: pizzoccheri (cheese and cabbage pasta), lasagne, tortilla, panna cotta. We had fun on the slides in Glasgow Green, screaming with excitement like children.

Easter was even more special to me, as I received a glorious chocolate egg as an unexpected gift, a real surprise which made me happy as a lobster. Happy Easter.

nico fiori

Fesenjan

Nebbia. Avevo dimenticato quanto potesse essere brumosa la Germania di prima mattina. E quanto potessero essere fatidiosi i tedeschi chiassosi, specie dopo che ho passato la notte sulle panche dell’aeroporto di Hahn.

Sole. Mi stupisco di quanto chiaro e limpido sia il cielo di Colonia, specie se visto dall’alto della torre del Duomo, guadagnata dopo 532 sudati gradini con il ridicolo zainetto blu e giallo dell’Invicta sulle spalle. Non voglio più scendere, la vista è inebriante. La luce dentro il Duomo vibra, le colonne elevano verso l’alto, vengono le vertigini. Penso a quei muratori, carpentieri, architetti che si sono arrampicati fin quassù per far volare questi angeli di pietra. Martina e Valentina mi aspettano all’Università. Anche un pasto alla mensa universitaria sembra un pasto da re, se altrimenti si mangiano solo panini e se è offerto e consumato in compagnia. Il sole ci colora le braccia mentre chiacchieriamo su una panchina. Avevo dimenticato quanto mi trovassi a mio agio in Germania, mi sono precipitato dentro Rossman con commozione a comprare cioccolata e caramelle.

La notte dormo nel paese natale di Adenauer, di cui sarei capace di affezionarmi nonostante sia piccolino e dall’aria così provinciale.

A Bonn visito l’Arithmeum, il museo degli strumenti di calcolo, dall’abaco ai computer moderni. A voi profani non interesserà probabilmente vedere come Leibniz ha costruito macchinari per ottenere la divisione girando una manovella, e non vi emozionerete di fronte a un cilindro di silice commercialmente pura, nera e lucente, minacciosa nella sua onnipotenza inespressa. I quadri astratti alle pareti fanno pendant con i colori delle caramelle Haribo, alle quali Bonn ha dato i natali, assieme a Beethoven, il cui testone capellone e sturmunddrangamente corrucciato fa severamente capolino da ogni angolo del centro. Visito anche un cimitero. Ci riposa Schumann con la moglie Clara, uniti dopo la morte come lo sono stati durante la vita. C’è mai nessuno che prega per gli artisti defunti, o le loro tombe sono solo monumenti?

Nicoletta mi vizia con parole e cibo prima di lasciarmi andare verso Düsseldorf, che non riesco a farmi piacere, un cantiere aperto e disordinato senza una chiara idea di dove andare a parare. In Germania l’autunno è già arrivato, col suo carico di foglie gialle sulle strade. I tedeschi però ci sanno fare, con l’architettura (impressionante) e con il design cittadino, riempiendo i centri di opere moderne che a me piacciono e che riempiono le cicatrici lasciate dalla guerra, in mancanza di meglio. Esempio da imitare anche altrove: dovremmo circondarci di cose belle per educare l’occhio al bello.

L’autobus mi recapita ad Hannover con abbondante ritardo e sotto la pioggia, ma posso contare sull’ospitalità di Jorge. Non ho bisogno di rivedere la città, ma tanto ho tempo a disposizione, e quindi faccio una capatina al pulcioso mercato delle pulci. Vago nei giardini del palazzo reale, rilassando lo spirito alla vista delle piante, dei fiori, della fontana e delle Nanas danzanti di Niki de Saint-Phalle.

Festeggio il compleanno di Emanuele cucinando con Fatemeh pancakes e il fesenjan, delizioso piatto tradizionale iraniano che unisce noci, pollo e melograno (qui la ricetta), in una pigra domenica. Rivedo molti altri amici dopo un anno che sono partito, e ci aggiorniamo sulle rispettive vite.

Ma alla fine devo partire di nuovo-per il terzo anno di fila mi ritrovo su un aereo proprio quando l’estate lascia spazio all’autunno, ormai è tradizione. Auf wiedersehen, Freunde, bis bald.

 

Fog. I had forgotten how misty Germany can be, especially early in the morning. And how noisy and annoying Germans can be, especially after one slept badly on the benches of the Frankfurt Hahn Airport.

Sun. I was stunned by the crystal clear sky over Cologne. I reached the top of the tall Dome tower climbing 532 steep steps with my childish blue and yellow school bag on my shoulders. I don’t feel like getting down, the sightseeing over there is heady. I think of all the carpenters, architects and masons who climbed up to here to let the stone angels fly. Inside the Dome the light is vibrating, the columns lead the visitor skywards, I get dizziness. Martina and Valentina are waiting on me at University. We have lunch at the canteen, so nicely when you have company. The sun tans our arms while chatting away in the park. I forgot how much I do love Germany. Excited, I rush into Rossmann to fill up my pockets with candies and chocolate.

That night I sleep in Bad Honnef, Adenauer’s village, so tiny and provincial, still lovely. It’s close to Bonn. I visit the Arithmeum, a museum about calculators and computing machines. Probably you won’t thrill at the sight of Leibniz’ first calculating device, and won’t feel emotional in front of a pure, black and shining silica cylinder, threatening with its unexpressed omnipotence. The abstract paintings on the walls match with the colours of Haribo candies, which were born in Bonn, as well as Beethoven, whose hairy and severe head pops up from every corner of the city center. I pay a visit to the graveyard, too. There Schumann and his wife Clara rest forever, together in death as they were in life. Is there anyone praying for dead artists, or are their tombs mere monuments?

Nicoletta spoils me with food and words before I head for Düsseldorf. I can’t fall in love with this city, a neverending construction site with no clear idea what to become once it’s grown up. The autumn has already arrived with its clock of yellowing leaves on the pavements. Germans are very good at this one thing: making up the cities with impressive modern architecture and decorative modern art, to fill up the scars and empty spaces left by war. A lesson to learn and take example from: being surrounded by beauty lets us look for beautiful things.

The bus drops me late under a rainy sky in Hannover, where at first I can count on Jorge hospitality. So many things have changed! I have time to stroll around the city even though I don’t feel I have to. I wander through the shaggy flea market, the Royal gardens, the Grotte of Niki de Saint-Phalle.

I celebrate Emanuele’s birthday together with Fatemeh by cooking pancakes and fesenjun (here’s the recipe), a typical tasty iranian dish, on a lazy Sunday.

But the time to leave arrives soon. Once again I’m taking a flight when summer lets room to autumn-it’s becoming an annual tradition. Aud wiedersehen Freunde! Bis bald.

Foresta nera/Black forest gateau/Schwarzwäldertorte

In dipartimento i dottorandi organizzano ogni anno una International Dinner, in occasione della quale i ragazzi sono invitati a portare un piatto tipico da gustare insieme; sono previsti premi per il miglior piatto dolce e salato. A certi eventi mondani, va da sé, non posso mancare.

kirschHo scelto di portare un dolce tedesco. Riponete lo sguardo offeso; pensateci: cosa si può portare a un party che sia tipicamente e golosamente italiano, e nel contempo pratico da fare, trasportare e mangiare in piedi, e che non sia il classico tiramisù, che ho già fatto millemila volte in Germania? Non suggeritemi il pandoro (Selene…) né la cassata. Ho optato per una torta tedesca ad effetto, tutta cioccolato e panna: la foresta nera.

Innanzitutto mi serviva il kirsch, un liquore alla ciliegia. L’ho cercato ovunque, nei supermercati e nei negozietti polacchi, ma no, nel Regno Unito si beve solo whisky e vodka. L’ho dovuto ordinare in un sinistro negozio d’alcolici dove il negoziante è separato e protetto dai clienti tramite una vetrina e comunica attraverso una porticina. 19.99 £, mi è costato: sperando che ne valesse la pena.

Fare la foresta nera non è difficile, ma è complesso. Richiede strati di pan di spagna al cioccolato, ciliegie e panna. Ci si mette ore. La parte peggiore è l’assemblaggio. Ricoprire la superficie e i fianchi della torta si è trasformato presto in un incubo a tinte color panna. La mia sac à poche era ingovernabile; la densa panna scozzese non era abbastanza per coprire tutti i buchi. Sono corso disperato in extremis al supermercato per recuperare della panna spray, che ha fatto il suo sporco lavoro di tappabuchi, ma nel giro di cinque minuti torna allo stato liquido! Chili di carta scottex mi aiutano ad arginare il fiume di panna che cola dai fianchi della torta. A questo punto mi accorgo che è troppo cicciona per il porta torte, e per proteggerla nel tragitto casa-università la fascio di nuovo dentro la tortiera a cerniera, rendendo vano tutto il mio lavoro di restauro sui bordi.

Sono convinto che la mia famiglia sia colpita da una maledizione che ci porta a fare dolci perlopiù buoni ma di solito orridi. Torte brutte, storte, sgraziate, impresentabili.

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Qualche esperto in stucchi, restauro o makeup può aiutarmi?

bannerPer cui è stata con grande sorpresa che ho vinto il premio. Un buono da M&S! Adesso posso tirarmela come fanno le food bloggers. Ho già pronto il banner 

 

La cena, a onor del vero, era piena di prelibatezze, ho mangiato come un orso dopo il letargo. Yummy!

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Quel che è rimasto per i miei coinquilini.

 

 

International dinner night: an event organized every (?) year by the PhD students of my department, obviously I can’t help taking part in it! Each of us was invited to bring along a special dish from his/her country, and prizes were given for the best savory and sweet one.

I decided to prepare the black forest gateau. If you have a better idea about an italian dessert which is at the same time nice, delicious, easy to bake, to transport and to eat at a stand-up party, and is not the classical tiramisù (idea I have exploited too many times while I was in Germany), please let me know. Come on, everyone like a black-and-white, cream-and-chocolate cake! My German friends will be glad of it.

First of all I needed kirsch, a cherry-flavoured gin, but it was nowhere to be found in Glasgow. Evidently here people drink just Scotch and whisky. I had to order it at a squalid alcohol shop in High St, where the shop assistant is separated (i.e. protected) from the customer by a window and hands out bottles through a small door in it. I spent 19.99 £ (!), hoping it was worth it.

The Black Forest gateau is not difficult, it’s complex though. It’s made of tiers of chocolate sponge, cream and cherries. It takes hours to accomplish it. The worst part is assembling the layers: very soon I found myself in a cream-colored nightmare, my sac à poche was squirting cream everywhere, the cream was not enough to glaze the whole gateau, I then ran to the next Aldi to grab some spray cream, but it was not stiff enough and melted everywhere. Once I managed to soak it up with the kitchen paper, I realized the cake was too huge to fit my cake holder, and I had to squeeze it back into the mould, definitely spoiling the sides.

Me and my mum think our family is cursed. The dishes we produce are nice, but also ugly, irregular, uneven, clunky. 

Therefore it was much to my surprise I won the prize! Thanks guys! Now I can show off like all the food bloggers. I’ll put a banner.

The dinner was full of international delicacies, and I’ve eaten like a bear after hibernation.

Chi ha mangiato l’ultima fetta di torta?/Who ate the last slice of cake?

bussolà

Come dovrebbe apparire il bussolà.

Su consiglio della mia amica Mary ho provato a fare il bussolà vicentino. La ricetta che ho trovato era sbagliata e il risultato era molto diverso da quello che mi aspettavo. Una ciambella asciutta, semplice, con un po’ di granella di zucchero in superficie ma nessuna di quei valori aggiunti che rendono appetibili un dolce: panna, cioccolata, crema, canditi, frutta, caramello, glassa…nulla di nulla. La classica torta povera e secca, inventata dalle nonne vicentine per essere mangiata col caffelatte o col mosto, o per soffocare il marito. Insomma, io ne ho assaggiato una fetta, ed era abbastanza. Ho lasciato il resto in pasto ai miei famelici coinquilini, ma senza particolari aspettative.

Nel giro di un paio di giorni la tortiera mi ritorna vuota e lavata.

La mia coinquilina Kostantina mi chiede se sono stato io a finire la torta. No di sicuro, ma insomma, non importa! ,,Te lo domando perché Thibaut mi ha chiesto se l’avevo finita io”. Oddio, mai più litigherete per una fetta di torta! Su, dai, fate i bravi, domani zia Dade ve ne prepara un’altra.

Il giorno dopo Thibaut mi fa vivi complimenti per la torta. Quella insapore.

Quant’è strano il mondo. Ma almeno i miei coinquilini mi danno soddisfazioni.

Non è il bussolà, ma ha fatto la stessa terribile fine, poverino.

Some times ago I baked a traditional cake from my region, called bussolà vicentino. It’s a cake I would never like at first sight: no cream, chocolate, candied or fresh fruit, glaze…nothing really appealing at all actually! Just a handful of pearl sugar on the top. That sort of dry, coarse, plain, poor cakes women used to prepare for breakfast, to eat with a cup of caffelatte or a glass of wine. I tried a slice of it, and it was enough. I left the rest on a tray, on the kitchen table, at my flatmates’ mercy.

After two days it was over, the tray clean and empty. Great!

Kostantina asked me if I knew who ate it up. Why so? Well, Thibaut had asked her who finished the cake. Well, guys, please don’t argue about a cake, be quiet, Auntie Dave will bake a new one tomorrow.

Thibaut met me the day after and told me he had liked it a lot. What? The tasteless cake? Well, nice. One never guesses what pleases, and my flatmates are the best ones to flatter my baker-self.

Moka/Kaffeekocher

Il caffè, uno degli argomenti nazionalisticpopolari che più insaporiscono le conversazioni degli italiani all’estero. Al primo posto della classifica ci sono il meteo e il cibo in generale (in entrambi i casi all’Italia viene assegnata la fascia di Miss Nazione Europea). Al quarto posto si piazza la lingua col codazzo di lamentatio più o meno motivate sull’accento, il dialetto, gli slang e blablabla. Noto con soddisfazione che invece l’annoso tema bidè, tanto caro ai connazionali in vacanza, è stato messo al bando dalle nuove generazioni.

Ovviamente è di color vèrde.

Ovviamente è di color vèrde.

Prima di partire per l’Erasmus, ormai 20 mesi fa, i miei amici del coretto di Cerro mi hanno fatto il graditissimo regalo di una moka Bialetti, una Fiammetta verde mela, compatta e leggera.
Io non distinguo il caffè Lavazza da quello Ramazza, e senza zucchero (o adeguata correzione) non lo bevo, con buona pace di quella purista di mia mamma. Però la Fiammetta si è rivelata un’alleata essenziale per combattere i momenti di stanchezza, e non si è tirata indietro quando si trattava di preparare un tiramisù per 20 persone, lei, nata per riempire una tazzina alla volta.

Il termine moka non esiste all’estero. Risulta difficile tradurre perfino caffettiera. Questo aggeggio smontabile desta curiosità e smarrimento.
La mia Fiammetta ha viaggiato con me per mezza Europa, fino a quando ad Hannover mi sono capitati nuovi coinquilini che sono riusciti a perderne testa e filtro. ,,Ragazzi, non trovo metà della moka, l’avete vista?”, chiedo col culo della Fiammetta in mano.

Il culo della Fiammetta in questione.

Il culo della Fiammetta in questione.

Per tutta risposta ricevo sguardi attoniti: il passo dal non avere un nome e un’identità all’essere gettati per sbaglio nella spazzatura è breve, se ci si ritrova nelle mani di incuranti giovanotti angloamericani. Dopo un breve periodo di speranzosa quanto vana ricerca della metà dispersa, e dopo che la mia colazione ha proclamato il lutto, mi sono fatto rimborsare il valore economico della mia Fiammetta (quello affettivo, ciccia) e ora sono tornato a bere il forte e nero caffè italiano, alla faccia dei surrogati esteri.

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Wer von euch weisst, was eine Moka ist? Ich glaube, ganz wenige. Sie ist ein typisches italienisches Wort für ,,Kaffeekocher”. Solche Kanne besteht aus drei Teilen: dem Boden (das man mit Wasser einfüllt), einem Filter (wohin man das Kaffeepulver gibt) und einem oberen Teil (wohin der Kaffee fließt).

Meine italienische Freunde haben mir einen Kaffeekocher geschenkt, bevor ich nach Erasmus geflogen war. Es war ein besonderes Gerät, grün und leicht (aus Aluminium) und stylisch. Ich bin kein Typ, der jeden Tag Liter Kaffee trinkt, oder der nur die beste Art Kaffee wählt. Meine Moka war trotzdem wichtig, als ich müde war und als ich einen großen Tiramisù vorbereiten wollte.

Meine Moka hat mich trau und hilfreich durch hälfte Europa begleitet, bis zu Hannover. Als in August die neuen Mitbewohner in meine Wohnhein getreten sind, sofort ist der obere Teil verschwunden. Nur das Boden ist zurückgeblieben-es war aber völlig nutzlos, ohne den Rest. Ich bin dann zu meinen Angloamerikanischen Mitbewohnern gegangen: ,,habt ihr mal den Rest der Moka gesehen?” Natürlich nicht: wenn man sogar keinen Namen für eine Sache hat, wie kann man sie kennen, und dann erkennen, dass sie nicht in Ordnung ist? Wahrscheinclih haben sie meine Moka verloren. Sie haben mir das Geld zurückgezahlt, aber die affektive Wert ist zurzeit Flöte gegangen. Ok dann, zumindest kann ich jetzt wieder mein Früstück mit einem kochenden, schwarzen und starken Kaffee genießen!

Lavoro/Job

Sono partito per la Germania non per fare un Praktikum (tirocinio), o un’Ausbildung (periodo di formazione), ma per fare un Nebenjob (lavoretto secondario). Fino a ieri ero lavapiatti. È stata un’esperienza di vita!

Innanzitutto i miei colleghi erano persone provenienti dalla Russia, Libano, Brasile, Vietnam, Algeria, Montenegro, Egitto, Turchia. Tutti stranieri: il lavapiatti è l’ultimo gradino della rigida scala sociale tedesca, che va in base alla formazione personale e ai soldi che si guadagnano. Ho fattol’esperienza dell’immigrato.

La mia ditta (Essenszeit) gestisce alcune mense e location per eventi (come conferenze o meeting di lavoro) nel Nord della Germania. La mia si trova nell’aeroporto di Hannover. Il cibo è completamente biologico, e la qualità e la bontà si avvicinano a quella di un ristorante. A volte mi fanno aiutare i cuochi a tagliare la verdura o a preparare i piatti, e da lì ho capito che non voglio lavorare in una cucina, dove in realtà la creatività personale non trova sfogo e dove le ricette sono ripetute in maniera massiva. Inoltre, mi manca ancora molta esperienza: con tutto quello che cucino a casa, ho miseramente scoperto che non so neppure tagliare le cipolle, o i peperoni, come si deve.

Questo video racconta un po’ quello che sarei dovuto diventare dopo mesi a tagliare cipolle:

E allora pronti, coltelli in mano, via! 30 kg di zucchine affettate, o 16 kg di funghi a tochetti, con l’effetto che i miei sogni si avvicinano a questa sequenza di Fantasia:

e che le mie mani hanno tagli più o meno gravi.

A volte mi è sembrato di buttare il mio tempo. Un lavoro del genere è fisicamente pesante e non aggiunge nulla al curriculum. Perlomeno ho compreso che non sopporto un lavoro subordinato in cui non posso svolgere compiti di responsabilità in maniera indipendente.

Il mio capo mi rimprovera solo quando rompo i bicchieri (che secondo me invece è un danno di poco conto), per il resto lascia correre tutto.

Sono diventato presto la mascotte dei miei colleghi: grazie al mio tedesco imbranato e alla mia predilezione per i dolci mi hanno preso per un bambinone troppo cresciuto, mi hanno nutrito a Nutella e dessert e mi hanno perfino paragonato a un Monchichi:
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buongiorno La giornata inizia bene se si trova sul bancone davanti alla lavastoviglie un dolce sorriso:

E non ho potuto non commuovermi di fronte a un tale regalo d’addio:

abschied

Amor di patria/Vaterlandsliebe

Amo l’Italia: è il paese in cui sono nato, in cui sono diventato adulto, in cui mi sono formato. Provo per lei un attaccamento istintivo.

Però amo anche la Germania: è la nazione che ho scelto come (temporanea) destinazione, e lei da parte sua mi ha accolto e ospitato, offrendomi tante opportunità. Per lei provo un sentimento più maturo.

L’Italia l’ho abbandonata e non ho intenzione di tornarci tanto presto. Non credo di esserne un fiero rappresentante, io che non tifo neppure la nazionale in occasione dei mondiali. Mi sono spesso trovato a domandarmi perché dovrei essere orgoglioso della mia nazione, e cosa rende un italiano tale. Tenendo conto delle infinite differenze regionali, gli italiani hanno pochi tratti in comune (tra cui vorrei sottolineare la tendenza a condividere, in certi casi chiamata anche generosità, e una qualche propensione all’igiene e alla pulizie della casa).

Certo, l’italianità sta in tante piccole peculiarità che difendo e faccio conoscere ai miei amici stranieri. Pertanto diffondo curiosità sulla nostra lingua, storia, arte, musica, cito perfino il festival di San Remo o Miss Italia, prodotti italiani esportati all’estero al pari della Nutella, della pizza e del tiramisù.

Dopo tanto osservare, ho scoperto che per me l’italianità sta…nelle spezie. Solo noi italiani giriamo la testa se veniamo colpiti dal profumo del basilico (una mia collega tedesca invece storce il naso). Il mio odorato viene eccitato anche dal rosmarino, dalla salvia, dall’alloro, piante mediterranee che crescevano allegre nel giardino/selva di casa mia e che ora non mancano tra i miei vasetti colorati in cucina.

Ci tengo ad essere italiano, ma mi sento innanzitutto europeo, e mi auguro prima o poi di vedere scritto sulla mia carta d’identità: ,,cittadinanza: europea. In fondo, mi sono spostato di soli 780 km da Verona, la stessa distanza che la separa da Brindisi. Sono rimasto in Europa. In altre regioni del mondo si parlerebbe di mobilità interna, in una macroregione in cui le differenze dovrebbero servire ad arricchire e a rendere contenti di tanta varietà, più che a dividere.

Iraniane/Iranerinnen

I tedeschi mi chiamerebbero Glücksschweinchen (porcellino fortunato. Al momento non lo fanno). Questa volta il colpo di fortuna riguarda la coinquilina che il Caso ha messo sulla mia strada. Sanaz è una ragazza molto bella, viene dall’Iran e come spesso succede con la gente dal Sud del mondo è generosa, calorosa ed ospitale. Ci facciamo lunghe chiacchierate (in tedesco-pensate quanti malintesi nascono!). Non parliamo molto della situazione politica dell’Iran, anche ne se recepisco alcuni accenni (anche il semplice fatto che lei voglia restare in Germania). Inoltre è l’unica altra persona di mia conoscenza che riesce ad intrecciare le gambe come me, facendo tre giri. Questa sì, che è affinità!

Anche se raramente mangiamo insieme, i nostri scambi culinari sono frequenti. Io apprezzo la loro cucina fatta di spezie, frutta secca (hanno tremila varietà di uva passa), riso e carne stufata. Da parte mia, esporto cannelloni e soprattutto dolci, che godono di successo specie tra le sue amiche. Ieri ho preparato un trionfo di panna e frutti di bosco in occasione del suo compleanno, che cade il giorno con la notte più lunga dell’anno e che abbiamo festeggiato ballando fino a notte inoltrata. Oggi ho insegnato il tiramisù a una sua amica (tiramisù rules!!!).

Sapevate che le iraniane hanno spesso il naso rifatto, per correggere i tratti aquilini tipici della loro gente?

In Germania gli iraniani e le iraniane sono una specie rinomata, un po’ come capita ai latinoamericani, grazie alla sensualità che hanno nel sangue, alla musica mediorientale, al calore e al trattamento che riservano agli amici, alla combinazione di fisionomie decisamente alternative a quelle tipicamente tedesche (non è uno stereotipo che i tedeschi sono prevalentemente biondi e dagli occhi chiari) e buon gusto nel vestire.

Con una compagnia del genere, finirò per imparare il persiano anch’io.